La politica italiana e la sindrome di Pinocchio

E poi si dice che la politica in Italia sia lenta e poco reattiva: le dimissioni del coordinatore nazionale del Pd, Filippo Penati, dopo il risultato deludente delle primarie di Milano, sono un segno di tempismo e di serietà che andrebbe imitata, nel centro sinistra, ai vari livelli, in primis quello regionale lombardo (ma dubito che ciò avvenga).
Troppe volte, anche nel pur serio personale politico democratico, ha prevalso la sindrome di Pinocchio. Il personaggio di Collodi rappresenta il carattere degli italiani meglio di ogni altra figura letteraria perché quando ne combina una delle sue tende a scaricare su altri le proprie responsabilità. E passi che ciò avvenga dalle parti del cavaliere di Arcore, animale politico più di ogni altro votato allo scanso delle responsabilità; ma che la sindrome del burattino abbia cominciato a prendere piede anche tra gli eredi del PCI e della DC, è un fatto che dovrebbe preoccupare tutti noi, a prescindere dalle nostre idee politiche.
Perché questo, in fin dei conti, si chiede alla forza politica del PD, soprattutto quando è all’opposizione: di essere seria, rigorosa, persino rigida e bacchettona se caso; mai clownesca e barzellettara, men che meno irresponsabile.
Quindi, il gesto di Penati, per quanto tardivo, almeno mette una toppa (che in questo caso è sempre meglio del buco) su un rammendo brutto e sgraziato, la debacle di Milano.
E come a Milano, dopo l’esito del consiglio comunale di Como di lunedì scorso, con la risibile vicenda delle dimissioni annunciate, del voto contrario, poi astensione, di alcuni consiglieri comunali della destra locale, il cui nome difficilmente entrerà nella storia per coraggio e coerenza, né per lucidità politica, la medesima sensazione di fuga dalle responsabilità coglie tutti gli spettatori per le vicende politiche nostrane.
Persino il vin brulè del giovedì precedente, graziosamente offerto dalla ditta opposizione civica in comune, contribuisce al senso di desolazione e tristezza, che coglie tutti. I supporter della giunta ciellino-pdl (in atri tempi sarebbe detta “clerical fascista”, ma allora mai sarebbe andata a finire così) restano indubbiamente con un retrogusto amaro: Bruni è salvo ma a condizione che non governi più. I “transfughi traditori” saranno ora spersi e annoiati dal mondo, né più né meno degli ignavi del terzo canto dell’Inferno (“che mai non fur vivi”). Le opposizioni ufficiali, che tanto attesero per il voto fatidico, appaiono ora come l’esercito che ha messo sotto assedio la cittadella ma ha contato esclusivamente sull’aiuto di una terza colonna al suo interno; e ora che la spallata alle mura non è andata a buon fine, che faremo?
Cercasi piano B, sarebbe da dire. E il rischio è che, alla ricerca di una strategia di riserva, a sinistra ci si balocchi con la classica coazione a ripetere (è il caso del consigliere di Rifondazione che, non riuscendo a sfiduciare il sindaco, ora vuole sfiduciare il presidente del Consiglio comunale, così, giusto per non perderci la mano) o ci si mascheri, ci si camuffi, per assomigliare quanto più è possibile all’avversario invitto: il che si traduce, inevitabilmente, nel ciclico ritorno dell’errore di fondo del nostro centro sinistra: la tentazione del mimetismo culturale, del pensare, parlare, comportarsi come il proprio avversario politico. Ne è testimone il lessico della classe politica locale (con le dovute eccezioni, sia chiaro), tutto infarcito di “territorio”, “mani in tasca degli italiani”, “sicurezza”, aziendalese, localismi e idiotismi da suburra comasca, declinazione inconsapevole e scorretta di principi pur significativi quali sussidiarietà e via così ragionando.
Dimentichi di quale sia il gesto fondativo della democrazia, il principio di parità e d’uguaglianza, ovvero la nozione di ingiustizia percepita nel mondo, ci si mimetizza: sperando che nessuno si accorga che, alla fine, è da Rousseau che tutti noi discendiamo (“se dimenticherete che i frutti sono di tutti e che la terra non è di nessuno, sarete perduti!”).
Uno spettatore disattento potrà anche restare incantato dai giochi di prestigio con i quali si intende dissimulare una appartenenza impegnativa, un’eredità nobile ma ingombrante; ma chi guardi in modo non superficiale alla nostra realtà dovrebbe interrogarsi sul perché dell’eclissi della politica riformista nel comasco: è nascosta, in attesa che altri tempi maturino; magari a medio termine.
Ma a medio termine, come ricordava l’economista John Maynard Keynes, saremo tutti scomparsi, giunta Bruni e governo Berlusconi compresi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *