L’eclissi del “moderato”

“Moderato sarà lei!” Tra non molto, potremo forse sentire improperi di questo tipo?
Le parole, si sa, come le monete, si svalutano. Sono soggette a un’usura che le svilisce, fa perdere loro il senso e le rende inservibili. L’uso, ma soprattutto l’abuso, di una parola la rende vittima di un processo inflativo, che le sottrae capacità denotativa, direbbero gli studiosi.
Assistiamo quindi, più si smarrisce quel valore, alla ripetizione ossessiva, paranoica, del termine, tanto più debole quanto più ripetuto. Come le svalutazioni monetarie tedesca o argentina del passato, quando per pagare un caffè si doveva sborsare molto denaro, oggi per veicolare un significato ci troviamo a recitare un termine come un mantra.
Nello spostamento elettorale e politico del presente, la parola inflazionata per eccellenza è stata “moderato” (moderati, moderazione, moderare et cetera) con i lessemi del campo semantico tanto cari a una vecchia politica (che sta a destra, ma anche a sinistra, perché no?).
Sia chiaro, il presente non è un elogio della smodatezza, dell’immoderazione o dell’estremismo (“estremista”, altra espressione che non sta troppo bene). È l’invito a ripensare un termine importante (quasi un termine marcatore di una certa scuola politica), perché con esso andrebbe ripensata l’intera categoria politica cui è riferito.
Per alcuni, moderato è categoria della topografia politica. Da cui la tendenza dei berlusconiani furbi di usare la contrapposizione “centro-destra” contro “sinistra”. Come dire: noi conteniamo il centro-moderato; voi siete estremisti. Specularmente, alcuni democratici furbi usano le due categorie rovesciate: noi “centro-sinistra”, voi “destra”.
Tuttavia che il vero centro topografico dello schieramento politico italiano, il partito della Lega Nord, sia un partito moderato è cosa tutta da dimostrare…
Per altri, i moderati sono da riferirsi più a categorie sociali e non politiche. E coincidono con il ceto medio, la borghesia che sa stare bene a tavola e non va alle feste popolari dove ci si sporca le scarpe di Tods’. È un ceto per sua natura liberale, intelligente e, per l’appunto, moderato.
Quando di tali borghesi liberali si cerca di dare una definizione positiva, da sinistra li si chiama “ceto medio riflessivo”, da destra li si blandisce come “borghesia imprenditrice”, moderata appunto. Ma non dimentichiamo che da più parti, in chiave dispregiativa, quella borghesia può essere denominata “radical-chic” e “salottiera”, o bottegaia ed “evasora”…
Insomma, persino in ambito sociologico la categoria dei moderati è diventata uno strumento inservibile.
Per altri ancora il concetto di moderazione, per lo più, deve applicarsi alla dimensione psicologica.
Moderato è colui che si modera, si controlla, non offende e rispetta l’altro, anche quando è il suo avversario in politica. Sotto questo punto di vista, appare evidente che a Milano il candidato Giuliano Pisapia e il centrosinistra tutto siano apparsi moderati; Letizia Moratti e il suo centrodestra, guidati dal populismo berlusconiano e leghista, siano risultati smodati ed eccessivi.
E tuttavia, anche in quest’ultimo uso del termine permane la traccia della sua usura. Occorrerà quindi uno sforzo di fantasia nell’uso del vocabolario, per soppiantarlo e ridefinirlo.
Si prestano a una sostituzione: riflessivo, razionale, controllato, cauto, tranquillo, modesto, mite, temperato, calmo, buono, contenuto, equilibrato, stabile, corretto, ponderato, prudente, giudizioso, assennato, cauto, guardingo, ponderato, oculato, avveduto. È una lista incompleta, ma la fantasia dei politici italiani tuttavia non avrebbe limiti nell’adottare o inventare un nuovo termine per ridefinire il concetto.
Ma c’è di più, il termine viene meno perché è proprio il concetto che esso denotava ad essere andato in crisi. Non solo, il concetto va in crisi in quanto va in crisi il linguaggio entro il quale quel concetto aveva un senso.
Ora, il linguaggio, il vocabolario, persino l’ideologia che vi sottostava, e aveva bisogno vitale di questo termine, moderato, sono da decenni il risultato del pensiero berlusconiano: vitalismo, libertà intesa come licenza, fastidio delle regole. In questa ideologia, il termine moderato era usato come parola-bandiera, per indicare un ceto sociale, un ceto ideologico che doveva rispondere agli appelli all’anticomunismo del leader maximo; del tutto irrealistici, ma chiaramente decifrabili come segnali di un richiamo subliminale alla libertà da regole e controlli, l’ideologia dell’arricchirsi per intenderci…
Con quel termine, e quel linguaggio, si definiva una precisa realtà, un accordo politico tra un capo e una massa di popolo. Se viene meno questa realtà, ovvero se viene meno la fiducia tra quel capo e il suo popolo, anche il linguaggio che serve a descrivere questa realtà viene meno. Il linguaggio del potere non è più in grado di rappresentare una precisa realtà.
Quindi siamo di fronte a nuove esigenze del lessico politico, e le parole con cui tale lessico politico ha funzionato sino ad ora (a destra come a sinistra) risultano inservibili: significa che siamo a una svolta storica, vera e profonda della vita pubblica italiana.
Le elezioni di secondo turno in programma per il prossimo 29 maggio ci diranno se questo assunto è fondato o meno.

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