I dilemmi del centro destra comasco in vista delle elezioni comunali

Maurizio Traglio, chi era costui? Si sarà detto il militante del Pdl comasco, nel leggere le cronache cittadine, parafrasando un celebre incipit manzoniano. In effetti, per chi ha direttamente seguito il personale politico del partito che da decenni ormai domina la vita pubblica comasca, i nomi conosciuti del gruppo di comando della destra locale sono altri: Butti, Caradonna, De Santis, Sosio, D’Alessandro, Gaddi, molti ancora ma non Maurizio Traglio. Senza nulla togliere alla persona, è il profilo politico che viene a mancare, e fa apparire il partito di maggioranza della città di Como come una squadra priva di una missione definita, di una linea, di una strategia. Il che dovrebbe preoccupare tutti, sia chi nel Pdl s’identifica, e anche chi in esso non si identifica né si riconoscerà in futuro: è davvero interessante vedere il modo con cui la politica seleziona il proprio personale, se si affida a modelli di scelta trasparenti, o se consegna a luoghi più opachi il compito di individuare i propri candidati. L’Ordine, di fronte a un evidente attuale disimpegno della politica, pubblica nel numero del 4 gennaio un florilegio di brani di Ganfranco Miglio che servono proprio a rammentare al personale politico del Pdl comasco che forse non è proprio il momento di “fare un passo indietro”, spingendolo ad assumersi le proprie responsablità.
È impressionante la somiglianza della riflessione di Miglio con quella dei teorici dell’autonomia del politico degli anni 70 del secolo scorso: “La classe politica è sempre qualcosa che trova un suo punto di riferimento; borghesia, classe operaia sono soltanto classi serventi”, scriveva il politologo comasco molti anni fa. Dallo spunto di Gaetano Mosca, egli approfondiva il perché di tale autonomia, ribadendo la nozione di ceto politico come di un’élite espressione della società nel complesso, non di specifiche classi sociali. Un ragionamento che, da posizioni diverse, antitetiche direi, anche un altro formidabile studioso della politica, il francese Maurice Duverger, proponeva qualche anno prima, trattando del mascheramento del ceto politico per merito dell’assunzione di un profilo ideologico: se la lotta politica si svolge entro una cerchia non molto ampia, “tra persone avvedute”, il mascheramento è inutile: “Non è ai vecchi lupi che bisogna insegnare a urlare: si potrebbe anche paragonarli agli antichi àuguri, che non potevano guardarsi in faccia senza ridere, perché consocevano bene le loro bugie”.
Il Pdl comasco sta dimenticando questa basilare visione: come tra vecchi àuguri, viene da ridere a sentire discorsi che hanno il solo compito di dilazionare il momento di una scelta: chi sarà il candidato Sindaco che si presenterà alle imminenti elezioni? Dire, come fa il pre-candidato Traglio: io mi candido solo se vi è l’unanimità sul mio nome, è segno della massima debolezza. Significa dare a chiunque abbia un minimo di voce nel Pdl di Como un potere d’interdizione massimo. Dal lato opposto, vi sono alcuni (su tutti, l’assessore Gaddi) che indicano nelle elezioni primarie il passaggio obbligato per una selezione del miglior candidato.
Altro limite: la titubanza della dirigenza del partito verso le elezioni primarie è segno che tali elezioni non le vuole. Anzitutto perché rappresenterebbero un passaggio complesso e di difficile gestione; in secondo luogo perché le primarie potrebbe vincerle proprio Gaddi (sembra proprio il candidato ideale per tale competizione), e questo creerebbe tanti problemi proprio alla dirigenza del partito in cui lo stesso Gaddi milita. Sarei quindi propenso a ritenere che questo mezzo di selezione del personale non sarà utilizzato. E dire che le primarie risponderebbero all’assunto di Miglio per dare stabilità al sistema politico comasco: “Riducendo il numero di coloro che aspirano e lottano per il potere, si consolidano i sistemi politici”. La destra italiana le ha svalutate per una sorta di azione riflessa: le utilizza il centro sinistra, quindi non possono andare bene per noi. Invece, esse sono uno strumento neutro e la prova ci viene dagli Stati Uniti di questi giorni, con i candidati repubblicani impegnati a sfidarsi per definire il proprio miglior candidato da contrapporre a Obama.
E tuttavia, per le ragioni su esposte, Il Pdl comasco non seguirà probabilmente questo modello. Si contorcerà in una serie di azioni di dissuasione e d’interdizione, per giungere a definire (non si sa bene come) il proprio candidato. Una previsione: badiamo al fattore Tempo, è a esso che si deve far ricorso per capire quale sia il progetto con il quale pervenire alla sospirata conclusione di “consolidare il sistema politico”. Chi oggi detiene la massima responsabilità nel Pdl a Como, ha la maggior disponibilità di tempo, può permettersi quindi di dilazionare scelte e momenti decisionali. In ambito aziendale si tratta di una tecnica di gestione dei conflitti che va sotto il nome di management by exception (gestione delle emergenze, in questo caso l’emergenza riguarda il tempo). Il momento della scelta definitiva finirà a ridosso della data ultima per presentare una candidatura, a quel punto un intervento risolutivo dall’alto farà cadere la decisione sulla figura che meglio risponderà alle esigenze dell’attuale assetto di vertice del partito (l’asse politico tra il senatore Butti e l’area politica dell’attuale sindaco di Como, Bruni). Il Pdl avrà sprecato una buona occasione per agire in trasparenza se così accadesse, ma avrà certamene garantito una continuità all’attuale assetto di potere citttadino.

 


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