Libera repubblica di Albate

Dovranno pure fermarsi, prima o poi, le “provocazioni” edificanti della nostra classe dirigente.

Quando i candidati alle prossime elezioni regionali si recheranno ad Albate, quartiere di Como, per un’iniziativa elettorale, sappiano sin d’ora come dovranno atteggiarsi: con un sorriso benevolo e accogliente verso l’ultima frontiera del discorso politico comasco, accarezzata da destra come da sinistra, equanimemente, e apprezzata a quanto pare dai cittadini del piccolo quartiere cittadino.
Secessione, secessione: è il nuovo urlo che promana dal consiglio comunale di Como.
La storia, magistralmente, è rievocata su l’Ordine di ieri.
Nel 1943 Albate è annessa alla città di Como, con essa altre località marginali del capoluogo vi sono aggiunte. Nasce la possibilità di dare vita a un grande capoluogo: scommessa perduta.
Dopo la nascita della Repubblica, Como è colpita dalla sindrome secessionista. Aveva già perduto la provincia di Sondrio, poi perde la provincia di Varese, in seguito la provincia di Lecco saluta e si mette a sé. La grandezza del capoluogo che fu, un tempo, una vera e propria marca di confine, svanisce in un continuo svilimento di territori, forze economiche, demografiche e culturali. Un disastro. E a quanto pare, la sindrome della secessione, così entusiasticamente alimentata dalla propaganda leghista negli ultimi anni, oggi colpisce la città di Como, come una nemesi storica.
“La secessione? Un’ipotesi come le altre” diceva in un’intervista il Bossi ancora nel 2007, non dieci anni fa.
E ora, fresco come un quarto di pollo, prima un consigliere comunale della minoranza, poi uno della maggioranza se ne escono rivendicando per il quartiere di Albate il diritto alla secessione. Risposta entusiastica dei cittadini albatesi, a quanto pare…
Così con un bel referendum cittadino si potrà decidere se sottrarre i tributi albatesi alle casse del comune di Como, a quanto pare assetate di euro, per giungere al che permetterebbero persino la cementificazione dell’oasi del Bassone, pur di incassare i tanto sperati oneri di urbanizzazione, unica risorsa in grado ormai di rimpinguare le casse comunali.
Una prima notazione, chissà se qualcuno se la sarà rammentata? Ma sino a due anni fa i comuni godevano dell’unica risorsa finanziaria di natura federale, che permetteva loro entrate significative ma non troppo onerose per i cittadini: l’ICI. Il governo che più di tutti ha sbandierato l’ipotesi federale, perché ha al suo interno la Lega, partito localista per eccellenza, ha pensato di abolirla l’ICI, e di lasciare i comuni in braghe di tela. Da qui tutto un arrangiarsi con tasse di scopo, spazzatura, gas, multe agli automobilisti e per l’appunto oneri di urbanizzazione.
La classe politica locale ha già dimenticato quel passaggio, e ora finge di non rammentare che quella tassa federale sarebbe molto meglio di tante invenzioni contabili di matrice fantastica?
Ma c’è anche una divertente riflessione da sviluppare sulla deriva di una classe politica locale che ora finge di non capire. Si promuovono a livello macroscopico, su scala continentale, la nascita di uno spazio giuridico continentale, di uno spazio militare e politico unificati; si promuove anche a livello micro la nascita di unioni di comuni, per favorire l’aggregazione di porzioni amministrative ormai risibili sul piano locale (comunelli di centinaia di abitanti che non sono in grado di fornire servizi se non consorziati): l’unione dei comuni della Tremezzina ne è un esempio, lampante, ed efficace oltre che efficiente. E a Como, dove, a quanto pare, una miopia politica grave ha colto buona parte della classe dirigente cittadina, ci si balocca con idee di separazione che non si capisce se servano ai cittadini o a chi le promuove.
L’idea è buona, quanto a precedenti. Ha lontane origini nella secessione del popolo romano (Eutropio: sedici anni dopo la cacciata dei re, il popolo fece sedizione, come se fosse oppresso dal Senato e dai consoli): siamo nel 494 avanti Cristo e proprio i plebei non ce la fanno più a sottostare alle pressioni dei patrizi, ma si tratta soprattutto di diritti politici negati, non di oneri d’urbanizzazione e di valori immobiliari… Da lì, è tutta una sequela di secessioni tentate e riuscite. Una tra quelle non riuscite, quella americana di metà Ottocento: quante centinaia di migliaia di morti per non raggiungere nulla. Ma almeno ci provarono i Confederati a staccarsi da un’Unione considerata accentratrice e tiranna…E poi la secessione riuscita della Slovacchia dalla repubblica Ceca, e quella sanguinosa di tutti contro tutti nella ex Yugoslavia. Ora siamo all’epilogo comasco.
Un politico “fino” come Rapinese lancia l’idea: ma separiamoci da Como, così saremo in grado di meglio governare i nostri tributi. Sempre lì va l’accento. Non ai diritti, ai doveri mancati, ma al soldo. Quasi che in quella dimensione vi fosse tutto, l’alfa e l’omega della nostra politica. Il che la rende una politica misera, proprio perché non pensa che a quello, ai soldi.
Ma hanno pensato Rapinese, Rudilosso e altri interessati alla faccenda, che potrebbe anche accadere che, raggiunta la secessione, qualcuno, magari interessato al formidabile bacino elettorato della frazione di Olmeda, possa bandire, raggiunta l’autonomia, una nuova secessione, questa volta dal comune di Albate? E che dire se gli abitanti di via Acquanera un giorno decidessero che le loro tasse le vogliono proprio spese nella loro via, e decidessero a loro volta la secessione dal mondo?
Ora a noi può far ridere. Ma si tratta di questione molto seria, studiata e valutata con attenzione da ricercatori del sociale seri e preparati, che indagano il buco oscuro, e a quanto pare senza fondo, nel quale la società italiana si è infilata.
Classi politiche furbe quanto miopi, accarezzano istinti primordiali, definiti identitari, al fine di consolidare potere e consenso. Si comincia con i meridionali, si procede con gli extracomunitari, si finisce con gli abitanti di piazza Cavour. Per consolidare questo obiettivo, ci si costruisce differenze culturali, magari etniche o razziali. E va bene cercarne con chi viene da miglia di chilometri di distanza, ma con chi abita in via Dante, non risulterà più difficile?
L’importante, come scrive un importante antropologo francese, Jean Pouillon, è non sbarazzarsi di una storia, purché sia: “le società moderne manipolano il loro passato in funzione dei loro bisogni presenti”. Ciò fatto, costruita una “cultura” per questi obiettivi di bassissimo valore, il gioco è completato.
Ora, viene da domandarsi, se cittadini tanto seri e responsabili siano coscienti di quanto abbiano prodotto in termini di rappresentanza politica, e se non venga loro il desiderio di un profondo ripensamento della propria delega.

Una memoria storica, per concludere: l’ultimo bilancio che registrò tra le uscite le quote di spesa pubblica del comune di Como suddivise per circoscrizioni fu presentato dalla giunta di Renzo Pigni, era assessore al bilancio Emilio Russo. Da allora, gli amministratori hanno dimesso questa bella prova di trasparenza: che ciascuno sappia quanto, in termini percentuali si spenda in opere pubbliche quartiere per quartiere. Non sarebbe una bella idea riproporlo?

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